La reperibilità, non consente al dipendente di godere di idoneo riposo, per questo motivo prevede un compenso
Il lavoratore non è a riposo. Per questo motivo la reperibilità del lavoro dipendente deve essere remunerata
Reperibiità deve essere retribuita. E’ quanto ha stabilito la Corte Europea con la recente sentenza C-518/15 Matzak. In sostanza, quando deve essere reperibile, il dipendente non è a riposo per cui la reperibilità rientra nell’orario di lavoro e deve essere remunerata. Ciò, in particolare, quando vige l’obbligo di restare nel luogo stabilito dal datore di lavoro (che può essere anche il proprio domicilio), nonché quello di raggiungere la sede di lavoro entro un determinato lasso di tempo (8 minuti nel caso in questione, in genere 30 minuti negli accordi aziendali italiani).
Sono proprio l’obbligo di domicilio e la suddetta tempistica che, sentenzia la Corte UE, limitano in modo significativo le possibilità di svolgere altre attività, perché i vincoli sono di natura tale da limitare in modo oggettivo le possibilità del lavoratore di dedicarsi ai propri interessi personali e sociali.
Per la Corte di Lussemburgo, la nozione di «orario di lavoro», di cui all’articolo 2 della direttiva 2003/88/CE deve essere interpretata nel senso che le ore di guardia che un lavoratore trascorre al proprio domicilio con l’obbligo di rispondere alle convocazioni del suo datore di lavoro entro 8 minuti, obbligo che limita molto fortemente le possibilità di svolgere altre attività, devono essere considerate come «orario di lavoro».
Inoltre, a detta della Corte, ciascun Stato membro deve rispettare la distinzione tra “orario di lavoro” e “periodo di riposo”.
Da qui la possibilità, per moltissime categorie di lavoratori, si pensi alla classe medica per esempio, di ottenere la giusta remunerazione per il tempo passato in reperibilità.