Risarcimento del danno ed emolumenti di carattere indennitario: la decisione del Consiglio di Stato
La cd. compensatio lucri cum damno è un principio di origine dottrinale e giurisprudenziale che trova il suo fondamento nell’art. 1223 c.c.. Il risarcimento del danno deve essere integrale, ma in base a tale norma dal risarcimento del danno devono essere detratte le somme già percepite dal danneggiato come conseguenza immediata e diretta dell’illecito stesso. Il predetto principio trova applicazione unicamente quando il pregiudizio e l’incremento patrimoniale siano appunto conseguenza del medesimo fatto illecito. Ciò per evitare che la vittima goda di un ingiustificato arricchimento a danno di un medesimo soggetto. Ma cosa accade nel caso di attribuzioni che si fondano su un titolo diverso dall’atto illecito e non hanno finalità risarcitorie?
La questione in titolo è di particolare interesse sia in campo civilistico che amministrativo.
Stante l’acceso dibattito giurisprudenziale e dottrinale in materia infatti vi è stata una prima rimessione alle Sezioni Unite (Cass. Civ., ordinanza n. 4447/2015) ed una conseguente sentenza della stessa (Cass. Civ., SS.UU., n. 13372/2016) che però aveva omesso di esprimersi sul punto per “possibile irrilevanza al caso concreto” (ndr difetto di rilevanza). A meno di un anno da tale pronuncia la questione veniva nuovamente deferita alle Sezioni Unite (Cass. Civ., ordinanza n. 15534/2017).
Di pochi giorni prima era anche la rimessione dell’affare all’Adunanza Plenaria (Cons. di Stato n. 2719/2017), che pronunciava la sentenza n. 1/2018.
La questione proposta davanti al G.A. riguarda una controversia azionata da un dipendente pubblico al fine di conseguire il ristoro del danno biologico subito per esposizione ad amianto, avendo già tale soggetto percepito le prestazioni indennitarie previste dalla legge per i dipendenti pubblici affetti da patologie contratte a causa di servizio.
La questione proposta innanzi il G.O., invece, riguarda una causa per risarcimento del danno conseguente alla strage di Ustica e la precedente riguarda una responsabilità civile a seguito di incidente stradale.
Le due questioni sono quindi ben diverse, ma il principio di diritto sotteso ai casi in esame è il medesimo.
Appare opportuno partire da un breve esame dei due orientamenti contrapposti prima di arrivare all’analisi delle conclusioni alle quali è giunta l’Adunanza Plenaria.
Il primo indirizzo, tradizionale e maggioritario, sostiene che le prestazioni indennitarie ed il risarcimento del danno da fatto illecito possano cumularsi tra loro in quanto hanno titoli, natura e funzione diversi ed afferma che il principio della compensatio lucri cum damno non opera, escludendo la possibilità di scomputare l’indennizzo dal risarcimento.
In particolare, mentre la prestazione indennitaria consegue a specifici presupposti individuati dalla legge (o eventualmente dal contratto) per ogni singola ipotesi, prescindendo dai presupposti della responsabilità civile, il risarcimento del danno consegue proprio ai presupposti di quest’ultima. La prestazione indennitaria è quindi individuata ex ante dalla legge (o dal contratto) in misura astratta, oggettiva e predeterminata e pertanto l’illecito in questo caso è “mera occasione” e non “causa” del vantaggio rappresentato dal beneficio indennitario. Lo scopo del risarcimento del danno, invece, è quello di reintegrare il patrimonio del danneggiato leso da una condotta altrui non iure e necessita pertanto sia della prova dell’illecito che della prova del quantum.
Tale orientamento è sostenuto da numerosi pronunciamenti giurisprudenziali (cfr ex multis Cass. Civ. n. 20548/2014, Cass. Civ., sez. lav., n. 16143/2014, Cass. Civ. n. 5504/2014, Cass. Civ. n. 4950/2010, Cass. Civ. n. 21897/2009, Cass. Civ. n. 3807/1998, Cass. Civ. n. 2442/1955) e da ampia dottrina (primo tra tutti Bianca, Volpe Putzolu, Salandra, Petrelli, Sotgiu, Izzo, Pardolesi e molti altri).
Altro indirizzo, minoritario, sostiene invece che l’indennizzo non sia cumulabile col risarcimento in quanto, sebbene abbia natura diversa dal risarcimento, è riconosciuto proprio e solo in forza del decesso della persona offesa a seguito del fatto illecito; diversamente non sarebbe stato erogato. Questo orientamento si sofferma sulla funzione del risarcimento del danno. La condotta antigiuridica del danneggiante (e quindi il fatto illecito) è unica e deve pertanto considerarsi “causa” dell’attribuzione indennitaria. Conseguentemente, nel quantificare il risarcimento dovuto è ammissibile lo scomputo delle somme percepite a titolo di indennizzo. In caso contrario oltre ad attribuire una funzione “sovracompensativa” al risarcimento del danno, la conclusione sarebbe quella di un arricchimento ingiustificato del danneggiato consistente nel porre a carico dello stesso soggetto due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo. A favore di tale teoria milita anche la natura reintegratoria/compensativa -e non punitiva (almeno nel nostro ordinamento)- della responsabilità civile.
Anche tale orientamento è sostenuto da alcuni pronunciamenti giurisprudenziali (Cass. Civ. n. 7774/2016, Cass. Civ. n. 20111/2014, Cass. Civ. n. 13537/2014, Cass. Civ. n. 25733/2014, Cass. Civ. n. 13233/2014, Cass. Civ. n. 6573/2013) e da alcuni autori (ad esempio Rossetti e Franzoni).
L’Adunanza Plenaria prima richiamata ha deciso di aderire a quest’ultimo orientamento.
La stessa, in particolare, si sofferma sulla differenza esistente tra la fattispecie di cui è causa rispetto alle fattispecie rimesse alle SS.UU. (e a quelle puramente civiliste in generale) in quanto queste ultime si caratterizzano per la presenza di rapporti giuridici “trilaterali” (tra danneggiato, danneggiante e, solitamente, assicuratore). In tali situazioni l’applicabilità del principio della compensatio lucri cum damno è infatti resa più complessa ad esempio, dalla presenza del contratto di assicurazione -e del pagamento del premio assicurativo-, circostanza che porterebbe ad escludere l’ingiustificato arricchimento del danneggiato. Al contrario, nelle questioni sottoposte al vaglio del G.A. vi sono solo due soggetti: lo Stato ed il dipendente. Il rapporto è in questo caso “bilaterale”. Lo Stato, quindi, si trova ad essere sia il soggetto danneggiante tenuto al risarcimento del danno sia il soggetto tenuto alla prestazione indennitaria prevista ex lege.
Proprio questa differenza sostanziale (ovvero l’esistenza di un unico soggetto responsabile ed obbligato), dice l’Adunanza Plenaria, impone l’applicazione del principio de quo. Diversamente opinando si attribuirebbe alla responsabilità contrattuale una funzione punitiva che in realtà non ha.
Interessante sarà a questo punto la decisione delle SS.UU. sulla questione.
Avv. Elisa Ferrarello
Studio Legale Frisani